venerdì 9 marzo 2012

Non sempre l'8 marzo è stato giallo...

Soltanto oggi, a fine giornata, riesco a scrivere sull'8 marzo. Ieri più volte mi sono seduta al computer per farlo ma non riuscivo a trovare le parole, nella testa il vuoto, l'animo un pò triste. Alla fine mi sono arresa e, presa la borsa del lavoro ho iniziato il ricamo. Fuori una giornata bellissima di piena primavera, in giardino la magnolia tulipa, ormai al culmine della fioritura, splendeva nel sole e il profumo delle violette mischiato a quello dei giacinti portava alla mente i giardini d'oriente. C'era silenzio in giardino, e una grande armonia.  Non capivo l'origine della mia tristezza. Perchè quell'umore da giorno di pioggia? 
Scegliendo i fili, pensando all'8 marzo avevo preso dei bellissimi gialli più o meno brillanti, ma non li trovavo adeguati. Il mio stato d'animo esigeva altro e così ho lasciato che la mente decidesse in piena autonomia il colore del "mio 8 marzo".  E dalla borsa, senza esitazione alcuna, sono spuntati dei viola, alcuni scuri altri solo poco più chiari. Ero perplessa ma sicura che proprio quello era il colore adatto.. Ma perchè il viola? 
Incerta sul da farsi ho iniziato a ricamare. E piano piano, mentre la figura del cervo prendeva corpo sulla tela ho capito... ho capito tutto. E oggi posso scrivere sull'8 marzo.
L'inverno del 1956 fu particolarmente rigido. A Roma cadde la neve e fu un disastro. Le case erano senza riscaldamento e spesso l'umidità regnava sovrana. Non avevamo i piumini e le coperte di cui disponiamo oggi  e gli stessi abiti (quasi sempre rimediati) non erano adeguati a quel freddo polare. Quello fu l'anno che mi presi un congelamento, per fortuna leggero, alla mano sinistra. Si avvicinava l'8 marzo, le donne della sezione del Pci  erano disperate: nei giardini non si trovava un ramo di mimosa nemmeno a pagarlo. La ricerca durò parecchi giorni ma senza alcun risultato e così il giorno prima della festa le donne partirono (e non con le macchine) e tornarono  solo nel tardo pomeriggio portando dei grossi cesti pieni di viole. Non ricordo, o forse non l'ho mai saputo dove avessero trovato quelle violette. Ricordo però il lavoro fino a tarda notte per preparare i mazzetti tenuti insieme dalla piccola coccarda che il giorno dopo,  nelle strade e nei mercati avremmo tentato di appuntare sui cappotti delle donne.  Quella fu una notte particolare. Nonostante il profumo delle viole (che per una volta aveva fatto sparire l'odore di segatura bagnata e sigaro imperante nella sezione) l'atmosfera era triste. Quella sera nessuno aveva voglia di parlare, perfino noi bambini eravamo silenziosi. Chissà perchè. 
Del giorno dopo non ho ricordi particolari, probabilmente tutto si svolse come gli altri anni. Però di una cosa sono certa: quello fu un 8 marzo particolarmente triste. 
Ho capito così il perchè della tristezza di ieri. Ancora una volta l'8 marzo non era giallo, era viola,  un viola molto più scuro di quello del '56. In questi ultimi anni la condizione femminile è peggiorata, è stata stravolta. Dopo gli anni luminosi del femminismo, quando la strada ormai sembrava piana, ci ritroviamo ancora a fare i conti con i drammi di sempre. Anzi, tutto è peggiorato. e la responsabilità di questo è anche nostra. In qualche modo abbiamo rinnegato le conquiste degli anni '70, quasi ce ne siamo vergognate. Con gli anni '80 è iniziato un processo di rimozione dei valori per i quali avevamo combattuto tanto. Quasi ci siamo vergognate del nostro "femminismo" e oggi ci ritroviamo qui, la "reginella" ci ha fatto fare migliaia di passi da gambero e siamo tornate al punto di partenza, anzi, forse anche peggio. A questo punto scelgo un filo verde, verde chiaro e luminoso. Voglio assolutamente sperare che il prossimo 8 marzo sarà di un giallo smagliante.

mercoledì 7 marzo 2012

Quando il colore delle manifestazioni era rosso e a volte giallo di sole

Il prossimo venerdì i metalmeccanici della Fiom manifesteranno a Roma in difesa del lavoro e non solo. Mai come in questi ultimi anni si sono viste tante manifestazioni attraversare le piazze e le strada d'Italia, gli studenti, gli insegnanti, lavoratori di tutte le categorie, le donne disperate per la chiusura delle loro fabbriche, gli anziani che si sentono ormai in balia del vento. Tutti in qualche modo abbiamo protestato contro la politica, l'ingiustizia sociale, la discriminazione. Tante lotte, tanta disperazione e la percezione concreta della solitudine che ci accompagna, la sensazione che è inutile gridare: nessuno è in ascolto. Siamo soli. Ci hanno lasciato soli per rendere inutili le proteste e le lotte. Seguendo i telegiornali e leggendo i quotidiani si tocca con mano la divisione profonda di due mondi opposti l'uno all'altro. Uno dolente, disperato che grida e chiede aiuto, l'altro composto, impassibile, indifferente, impegnato nei suoi traffici, occupato a mantenere e a rafforzare  il proprio potere e la propria posizione di privilegio.
Che filo posso scegliere se non il nero? Nemmeno pensando al viso di Landini, ultimo Don Chisciotte, mi riesce di prendere un filo verde di speranza. 
E dire che di manifestazioni ne ho fatte e viste tante. Figlia di militanti comunisti, già intorno ai sette, otto anni, seguivo mia madre nel suo impegno politico. La prima manifestazione che ricordo era, pensate un pò, per avere una fontanella sulla strada davanti alle case.  Dopo la guerra non avevamo niente e per tutto abbiamo dovuto lottare, abbiamo dovuto conquistarci tutto. Ricordo la prima campagna elettorale alla quale ho partecipato con orgoglio e riconoscimento: era quella del '53, contro la famigerata legge truffa. E poi via via, negli anni le lotte per il lavoro e quelle antifasciste che spesso causavano morti di giovani. La lotta per la pace è stata una costante della mia vita. Nell'estate del '66 ero in attesa del mio primo figlio e ostentando orgogliosa il mio bel pancione partecipavo a Roma ad una marcia per la pace in Viet Nam. Da un balcone un criminale lanciò dei fogli di carta incendiata e il mio vestito premaman prese fuoco in lampo. Potrei parlare di Porta San Paolo, dove grazie alla cavalleria, a diciassette anni ho conosciuto il terrore, della manifestazione contro il governo fascista di Tambroni, e quelle storiche per la scuola, il divorzio, l'aborto, la casa..... un'infinità.  Eppure riandando con la mente al passato i fili che sceglierei sono senz'altro il giallo del sole e il rosso della certezza della vittoria. Non ci sentivamo soli, eravamo tanti, e il rumore dei nostri passi si sentiva in tutto il mondo. Allora cantavamo ora gridiamo. E' un'altra cosa.
 

domenica 4 marzo 2012

Domenica è ancora sempre domenica?

Sono quasi le 16 del 4 marzo. E' domenica. Ho lavorato in giardino tutta la mattina e ora inizia il mio riposo.  Come al solito prendo la borsa del ricamo e preparo la tela. Inizio la scelta dei fili e intanto penso alla giornata quasi trascorsa, "è domenica" mi dico, e cerco con la mente le cose, gli odori, i rumori che differenziano da tutti gli altri giorni la domenica. Non  trovo nulla e  come un controcanto mi  tornano alla mente le domeniche della mia infanzia, ricche di avvenimenti che mai nessuno e in nessun caso avrebbe potuto  confondere con uno qualunque dei giorni della settimana. 
Scelgo un filo grigio perla, chiaro, luminoso, adeguato al colore del ricordo. 
Negli anni '50 la domenica era la DOMENICA. In quel giorno, ogni cosa cambiava aspetto. Qualunque fosse il tempo o la stagione una luce argentata avvolgeva il piccolo mondo nel quale vivevo: tre palazzi di 5 piani ciascuno costruiti a semicerchio, un altro palazzo identico davanti quasi chiudere, a delimitarne i confini. Al centro un grande campo da gioco con panchine di pietra.
Alle 7 del mattino, puntuale, il signor Fortunato, corista dell'orchestra radiofonica, che abitava al secondo piano del palazzo centrale, in veste da camera e pantofole (particolare da non sottovalutare considerata la totale e generale povertà),  prendeva posizione al centro delle scale e cantava con tutta la potenza della sua voce l'Ave Maria di Schubert. Nelle case ogni attività si fermava. Nel silenzio più assoluto tutti ascoltavano la preghiera cantata. Finalmente, dopo tanta attesa, era domenica.
Non appena nell'aria si spegnevano le ultime note dell'Ave Maria, il signor Augusto, portiere, vestito come sempre con lo spolverino grigio e in testa il berretto  che testimoniava la sua autorità, (e terrorizzava noi bambini), si collocava al centro del campo da gioco, (e questo anche in caso pioggia) prendeva dalla custodia la sua tromba, talmente lucida da sembrare d'oro, e suonava Vola Colomba, sempre e solo quella. E tutti sapevamo che iniziava il giorno di festa.
Nelle case ferveva un'attività gioiosa. In quegli anni il bagno era una prerogativa settimanale, nessuno aveva l'acqua calda in casa e tantomeno una vasca (almeno nel mio mondo). Grandi pentoloni d'acqua venivano messi a scaldare sul fuoco e uno a uno tutti i componenti della famiglia facevano il bagno nel cosidetto "bagnapiedi", grossa tinozza di alluminio. La lucidatura delle scarpe occupava un posto importante. Seduti sulle scale si lucidavano le scarpe della domenica: lucido per quelle degli adulti e bianchetto per quelle dei bambini. Le ragazze più grandi stiravano con i ferri scaldati sul fuoco le sottogonne e i vestiti per il ballo che nel pomeriggio ci sarebbe stato in una delle case.
Tutto cambiava. Nelle scale dei palazzi il profumo del ragù e del coniglio al forno con patate soppiantava l'olezzo di minestra di broccoli dei giorni feriali. In cortile era tutto un vocio, i bambini, con il vestito della festa e ben pettinati, non osavano fare i giochi di sempre, preoccupati per le sberle che avrebbero preso dalle madri nel caso si fossero sciupati il vestito o le scarpe. Dalle finestre aperte si sentivano le voci delle donne indaffarate con il pranzo domenicale. In ogni casa, per quanto povera, quel giorno la tavola avrebbe ostentato la tovaglia, con i servizi di piatti e bicchieri, regali di nozze. Qualche donna cantava... "grazie dei fior..."...
Verso mezzogiorno in cortile e sulla strada  cominciavano ad apparire gli uomini, tutti rasati e ben vestiti con il giornale (quasi sempre L'Unità) comprato dal compagno Boccanera che  alle nove del mattino all'angolo della strada con un gran fascio di giornali sul braccio gridava: "L'Unità uscita adesso! Il giornale dei lavoratori!" E cominciavano le discussioni, serene, senza animosità. Nel cortile risuonavano i nomi di Andreotti, Scelba, Togliatti, Nenni, Amendola, Ingrao, Pajetta...... 
Verso l'una tutto si calmava. Il cortile tornava vuoto, dalle finestre uscivano risate e rumori di stoviglie.
Verso le 15 ricominciava la vita. Le voci dei cronisti sportivi uscivano dalle radio tenute a "tutto volume". Gli uomini, parlandosi dalle finestre, discutevano di calcio o di ciclismo e le donne, con i figli più piccoli per mano uscivano a fare una passeggiata. 
Piano piano arrivava il tramonto, si accendevano le luci nelle case. Un'altra domenica era passata. Un velo di malinconia accompagnava la gioia dell'attesa della prossima domenica.




giovedì 1 marzo 2012

Finalmente dopo un inverno oltremodo rigido è tornata primavera, il giardino, dopo tanto "intirizzimento" comincia a rilassarsi, spuntano i primi germogli e il profumo delle invadenti violette promette ancora sole. Oggi è stato un bel giorno e da oggi voglio cominciare a scrivere i miei pensieri.
Avrei tanto voluto, almeno in vecchiaia, una vita serena, fatta di piccole e grandi cose.(premetto che in realtà sono una donna fortunata, ho figli, una nipote meravigliosa, delle nuore più che eccellenti, un cane, un gatto, un bel giardino, tanti libri, amici) ma purtroppo non tutto va sempre come vogliamo. Appartengo alla generazione che ha lottato e creduto nella lotta sognando il "sol dell'avvenire" e "il mondo migliore", certi che i nostri figli e noi stessi avremmo avuto una vita più giusta di quella dei nostri genitori. Non è andata così. Anzi. Alle vicende personali dolorose che purtroppo la vita ci riserva, si aggiunge la frustrazione, il senso profondo delle sconfitte sociali subite. A guardare oggi il mondo che ci circonda sembra proprio che abbiamo fallito in tutto. Il mondo del lavoro è alle corde, lo stato sociale non esiste più, la scuola pubblica è stata distrutta, svilita, squalificata per favorire quella privata, (soprattutto quella cattolica), stessa sorte ha subito la sanità, ridotta a livelli inferiori a quelli del terzo mondo.  Dopo un governo di cui ci possiamo solo vergognare abbiamo salutato con enfasi un governo di "gente perbene" (io direi di autentica e pura razza padrona) che tace spudoratamente su quelli che sono i problemi reali e continua a propinarci il teatrino di pulcinella per tenerci buoni. Non ho più tante occasioni per poter dire ciò che penso e ho deciso che lo farò su queste pagine, il poter manifestare l'indignazione per certi fatti (vedi prescrizione caso Mils) mi aiuterà a stare meglio.

Mi piace molto ricamare, e il ricamo mi aiuta a pensare. Il pomeriggio di solito, specialmente d'inverno quando il buio impedisce di stare fuori, mi dedico ai miei lavori preferiti. Mi siedo in poltrona con accanto la mia borsa da lavoro e per qualche ora  con i fili di seta creo sulla tela fiori, animali, disegni vari. La mente, libera, pensa, ricorda, progetta... e un giorno mi sono ritrovata ad osservarmi: una vecchia signora con una borsa, dei fili, della tela.... quell'andare con l'ago sulla tela scegliendo colori e forme era forse una continuazione fittizia della vita passata? E che cosa conteneva in realtà la borsa? Forse un'intera vita vissuta... la mia vita passata e i colori dei fili altro non erano che i colori della mia vita: il grigio dell'infanzia, il verde della giovinezza, il rosso delle lotte per la vita, il nero, terribile, dell'età matura.
Da qui è nata l'idea di questo blog. Ogni giorno dalla borsa prenderò un filo-ricordo e lo racconterò per me e per quanti vorranno leggerlo.
Per oggi mi fermo qui, è quasi ora di cena. Buonanotte